Il restauro de La Deposizione dalla Croce di Daniele da Volterra


Daniele da Volterra, Deposizione, dettaglio

 

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di Colette Di Matteo, Inspecteur général des Monuments Historiques

L’11 febbraio 2004 verrà esposto l’affresco restaurato della Deposizione di Daniele da Volterra.

L’affresco fu realizzato nel 1545, qualche anno dopo la Cappella Sistina, dove il suo autore fu il principale collaboratore di Michelangelo. Il committente era Elena Orsini, cui si deve la scelta del tema iconografico legato alla storia della Vera Croce.

Questo restauro costituisce in qualche modo il passo conclusivo del programma di restauri intrapresi a Roma dai Pieux Etablissements per il Giubileo del 2000.

A conclusione del restauro è stato deciso di ricollocare la Deposizione nella cappella in cui si trovava prima dei lavori, la seconda della navata destra, a fianco di quella in cui era originariamente posta.

Il restauro, limitato alla pulizia ed agli interventi necessari alla buona conservazione del supporto, ha restituito, con un intervento di ritocco minimo, i colori ai pigmenti originali e soprattutto l’aspetto di affresco che la Deposizione doveva possedere prima del XVI secolo, quando faceva parte di una decorazione dipinta ed ornata di stucchi realizzata dallo stesso Daniele – decorazione oggi scomparsa, di cui si conservano i disegni preparatori originali. La Deposizione sormontava l’altare che sembra oggi  l’unica vestigia dell’intera composizione.

Il libro VII di Vasari sulle “Vite de più eccellenti pittori scultori e architettori” descrive la decorazione della Cappella: questa si sviluppa attorno al tema della Pietà, esteso alla Leggenda della Vera Croce: sulle pareti alcuni episodi della storia di Sant’Elena relativi al ritrovamento della Croce e sulla volta quattro scene della leggenda della Vera Croce.

La storia della Deposizione di Trinità dei Monti e le vicende della sua conservazione illustrano in maniera emblematica i pericoli della celebrità.

Opera di riferimento a Roma, considerata a partire dal XVI secolo come un capolavoro che ogni artista doveva vedere in occasione del suo “Grand tour”, innumerevoli volte citata o copiata, era considerata, anche recentemente, perduta.

All’inizio del XIX secolo il suo stato di conservazione attirò l’attenzione degli artisti francesi dell’Accademia di Francia a Roma, nuovamente ospitati nella vicina Villa Medici.

Nel 1806 gli esperti riuniti attorno a Suvée, direttore dell’Accademia di Francia, rivolsero la loro attenzione al pessimo stato dell’affresco dovuto al crollo delle volte della Cappella Orsini causato dall’abbandono della chiesa a seguito all’espulsione dei Minimi. Essi conclusero che solo la rimozione avrebbe potuto salvare l’opera.

Pietro Palmaroli, restauratore romano, venne incaricato della rimozione. I procedimenti che mise in opera, sebbene non fossero del tutto innovativi – essi furono strumento di un’altra prova di “grandezza” in occasione di un intervento su un altro affresco della Trinità dei Monti – restarono nella storia come primo esempio di “rimozione a stacco”.

La rimozione, posta in essere dopo aver incollato lo strato di pittura e averlo strappato con una parte del rivestimento di supporto – procedura denominata in seguito “a stacco” – seguita da un vigoroso trattamento del retro della pittura, spianato con una raspa, e parzialmente ricoperto di gesso per assicurare una buona planimetria, si concluse con la collocazione dell’opera su tela, per mezzo di strati di pece e cera, e infine sull’intelaiatura, proprio come un quadro.

Lo strato di pittura fu poi ricoperto da uno spesso strato di cera per restituirgli brillantezza, nell’intenzione allora diffusa di sopperire all’opacità dell’affresco.

La pittura non fu tuttavia riposta a Trinità dei Monti: nel 1828 Chateaubriand, ambasciatore di Carlo X, propose di acquistarla per il museo del Louvre, ma la Santa Sede rifiutò l’offerta.

Il quadro ritornò a Trinità dei Monti nel 1861, a seguito dell’intervento della famiglia Orsini.

La Deposizione sarà posta nella cappella Bonfil, di cui la famiglia Orsini acquisì il patronato.

I lavori di Palmaroli, in considerazione del fatto che non vi era alcuna figura di riferimento nella storia del restauro e visto che lo stato di degrado della pittura nel XVI secolo era un dato noto, assunsero un tale valore da rivaleggiare con l’interesse dell’opera stessa.

Tuttavia, a partire dai primi studi e saggi del restauro della lunetta del Matrimonio della Vergine, si pensò di condurre anche uno studio sulla Deposizione.

Le analisi effettuate nel laboratori dei Musei Vaticani hanno permesso di delineare l’estensione delle alterazioni e di identificarle, distinguendo i fattori di alterazione legati all’invecchiamento dell’affresco e quelli che sono stati creati, e persino favoriti, dal distacco del 1809.

È divenuto evidente che la principale causa di alterazione della pittura era stata proprio l’intervento di Palmaroli e che, aspetto ancor più grave, il processo di degrado stava proseguendo.

La decisione di intraprenderei lavori di restauro è stata presa dopo aver consultato le più alte cariche amministrative e scientifiche, riunite in un apposito comitato attorno all’ambasciatore di Francia presso la Santa Sede.

I primi test hanno mirato a valutare gli strumenti per pulire lo strato pittorico senza destrutturate i supporti e le preparazioni, cosa che avrebbe potuto favorire una emersione massiccia di sali in superficie.

Si è giunti molto rapidamente alla decisione di dedicarsi alla struttura dei supporti, essendo una questione di conservazione preventiva.

Il restauro ha seguito un protocollo classico di pulizia, con eliminazione dei sali e delle cere polimerizzate, consolidamento e fissaggio, con l’utilizzo di prodotti e sulla base di un processo d’applicazione seguito dagli scienziati. Alcune lacune sono state ritoccate, ma si è deciso di non intervenire sulle usure, considerando che i toni della pittura originale avevano mantenuto una buona tonalità.

I lavori sui supporti hanno costituito l’originalità dell’intervento, mentre la pulizia ha permesso ai colori dell’affresco manierista di apparire.

Ciò che fa di questo restauro una scoperta è senza dubbio l’immagine ritrovata. Se si rammentano le date degli interventi del XIX secolo e quelle dell’imporsi della storia dell’arte come disciplina scientifica, si è di certo colpiti dalle coincidenze.

Il restauro della Deposizione realizzato da Palmaroli ha presto causato l’alterazione dell’opera, situazione che ha privato le ricerche degli storici dell’arte di questo capolavoro.

Tutti coloro che hanno rivolto la loro attenzione alle opere di Daniele e alla sua attività a Firenze, accanto a Michelangelo, e a Roma nel movimento manierista, non hanno mai potuto studiare questo affresco divenuto irriconoscibile.

Oggi queste ricerche possono infine cominciare e ricollocare quest’opera nel ruolo che merita, quello di capolavoro di Daniele.

Studi e restauro realizzati da Adriano Luzi e Luigi De Cesaris sotto la direzione scientifica di Colette Di Matteo, Ispettore generale dei monumenti storici che ha coordinato i lavori della commissione scientifica creata appositamente.

Restauro finanziato dai Pieux Etablissements de la France à Rome et à Lorette, fondazione sotto tutela dell’Ambasciata di Francia presso la Santa Sede, rappresentata dall’Ambasciatore Pierre Morel, dal Ministro Consigliere Laurent Stefanini, dall’Amministratore Monsignor Cloupet, da Pierre Mercier, Amministratore Delegato

Studi e convalida scientifica delle operazioni: Francesco Buranelli, Direttore Generale dei Monumenti e Musei del Vaticano, Ulderico Santamaria, Direttore del Laboratorio di ricerche dei Musei Vaticani, Fabio Moresi, chimico del laboratorio dei Musei Vaticani

Lavori autorizzati e seguiti dalla Sovrintendenza ai Musei, sotto la direzione di Claudio Strinati, Soprintendente per il Polo Mussale di Roma, e grazie al contributo determinante di Angela Negro

Una giornata di studi dedicata a questo intervento di restauro e all’opera restaurata è prevista nell’ottobre 2005