Luigi De Cesaris (1961 – 2011) - Articolo apparso su L’objet d’Art.

Articolo originariamente apparso su L’objet d’Art.
Traduzione di Simonetta Isgrò e Valentina Fiore

 

Nel momento in cui veniva pubblicato il numero speciale di questa rivista, dedicato agli edifici francesi a Roma, ad appena dieci giorni dall’inaugurazione  da parte del Ministro francese della Cultura e della Comunicazione Frédéric Mitterand del “suo” cantiere del padiglione di Ferdinando a Villa Medici, scompariva crudelmente Luigi De Cesaris. Si trovava in Egitto, a Sohag, dove da una decina d’anni dirigeva un cantiere di restauro di dipinti murali in un monastero copto.

Al di là dell’omaggio che l’ambasciatore di Francia presso la Santa Sede, il reverendo padre Bernard Ardura, tutore dei Pii Stabilimenti di Francia a Roma e Loreto, gli ha reso durante la cerimonia a San Luigi dei Francesi, l’emozione della folla dei suoi amici e colleghi ha indicato il posto che ha avuto e che conserverà nella nostra memoria.

Questo eminente restauratore di dipinti murali rappresenta – per tutti noi che abbiamo avuto la fortuna di frequentarlo, di ascoltarlo e di vederlo vivere il suo mestiere con una passione così comunicativa – ciò che lo sguardo del tecnico può regalare agli storici dell’arte e agli studiosi: l’apertura verso la realtà [integrale, totale] dell’opera, che fornisce la chiave di una lettura critica che sola autorizza la comprensione della materialità degli elementi che l’artista ha articolato per realizzare la sua opera, ma anche le modalità della messa in opera di tali elementi,  il loro invecchiamento e l’analisi che ne hanno fatto gli amatori e i restauratori nel corso dei secoli.

Si era formato a Roma, all’Istituto Centrale del Restauro dell’epoca d’oro, quella di Giovanni Urbani, di Paolo e Laura Mora, loro stessi discepoli di Cesare Brandi e diffusori di quell’etica che vuole che sia lo sguardo critico sull’opera a determinare il progetto di restauro, prima delle analisi scientifiche, a completamento delle informazioni che forniscono gli archivi. Era stato scelto inizialmente dai suoi maestri per accompagnarli durante le loro missioni di expertise della tomba di Nefertari a Luxor e per assisterli nel loro insegnamento.

Al di là delle parole e dei dibattiti, si tratta dell’emergere di una vera disciplina che allinea rigore e dubbio dove, come sempre, il ragionamento pratico e analogico viene in soccorso al pensiero astratto. Per questo bisogna aver veramente vissuto i restauri, aver riflettuto su ogni problema, proposto soluzioni ed averle valutate – cosa che non si riduce ad un semplice discorso.

Luigi De Cesaris ci ha insegnato la modestia, il rigore nell’approccio all’opera, la pazienza e – essendo lui solo con i suoi collaboratori a doverle tradurre in azioni – a presentare le sue proposte di restauro, con un senso artistico che è testimoniato da tutti i suoi restauri.

La sua attività di restauratore, in società con Adriano Luzi, scomparso nel 2003, è stata a misura del suo immenso talento.

Dei grandi cantieri ancora lo attendevano, i Carracci di Palazzo Farnese o la sala da Ballo di Fontainbleau, dove i suoi saggi di pulitura avrebbero alla fine rivelato la sconvolgente bellezza della pittura di Primaticcio quando già sei restauratori ci si erano confrontati e, come sempre accade durante i cantieri, l’evidenza di una realtà che lui solo sapeva estrarre e trasmettere.

I suoi numerosi cantieri in Italia e soprattutto a Roma – quello dell’Estasi di Santa Teresa nella cappella Cornaro e quelli delle chiese dei Pii Stabilimenti di Francia a Roma e Loreto (San Nicola de’ Lorenesi, Trinità dei Monti e San Luigi dei Francesi) – sono lì per ricordarci questi vent’anni di collaborazione ed amicizia.

Di Trinità dei Monti si può citare ancora l’anamorfosi di San Giovanni a Pathmos e le decorazioni – fino ad allora sconosciute – delle Gallerie delle celle del secondo piano del convento, tra cui la seconda meridiana, ma anche quelli della maggior parte delle cappelle della chiesa. Nella chiesa di San Luigi dei Francesi fu lui il primo ad avere avuto l’intuizione del senso della luce nella composizione berniniana della cappella di San Luigi, durante l’intervento sulle decorazioni, la cui logica architettonica fu restituita solo tre anni più tardi. Un colloquio in collaborazione con l’Università di Roma nell’ottobre 2011 gli ha permesso di far conoscere le sue riflessioni.

Dobbiamo a Luigi di averci regalato il coraggio di intraprendere i restauri più difficili, soprattutto quelli della Deposizione di Cristo di Daniele da Volterra a Trinità dei Monti, che resterà a lungo un riferimento ed un esempio, o la ripresa del restauro del padiglione di Ferdinando. Allo stesso tempo, è sulla base delle sue analisi innovatrici che, nell’ambito del cantiere di restauro della Cappella della Rovere, con Adriano Luzi, propose la nuova messa in opera, nella sua sede originaria, della lunetta staccata con il Matrimonio della Vergine di Marco Pino, divenuta irreversibilmente – si credeva – un “quadro”.

Villa Medici l’ha interessato più tardi… E il suo restauro così intelligente del padiglione di Ferdinando – lo studiolo – ha messo tristemente termine alla riflessione che lo aveva impegnato sulla genesi delle decorazioni volute da Ferdinando per il suo palazzo romano, e alla vigilia della rilettura dei fregi dipinti del XVI secolo. Noi conserviamo preziosamente i suoi appunti e le sue riflessioni, ma ci mancherà come non mai la sicurezza del gesto che faceva apparire evidenti i suoi propositi di restauro.

Luigi ha fortunatamente formato dei giovani collaboratori che riprendono il suo spirito e che, con noi, proseguiranno la riflessione sul restauro e perpetueranno il suo ricordo, nel mantenere la forza spirituale dell’arte e la necessità di assicurarne la conservazione dell’immagine e della bellezza.aaa replica watches

Alla presentazione pubblica del restauro della Deposizione del Cristo il Ministro della Cultura l’aveva elevato al rango di Cavaliere dell’Ordine delle Arti e delle Lettere.

 

Colette di Matteo
Didier Repellin